Per una qualsiasi persona che sia intelligente e
conosca un bel po’ di persone è importante utilizzare un linguaggio “Politicamente
Corretto”. A questo punto viene inevitabilmente da chiedersi cosa sia questo
linguaggio che si cerca di utilizzare per essere più diplomatici e risultare
tolleranti e privi di qualsivoglia pregiudizio. Va bene. È chiaro che per avere
una sorta di posizione super-partes bisogna
adottate questo registro di comunicazione, per cercare di non inimicarsi le
varie classi, razze, religioni, età, orientamento sessuale, deformità o una
qualche malattia. Ma voglio soffermarmi più sul perché sia necessario essere
politicamente corretti.
E invece per coloro che fanno parte delle cosiddette
fasce cosa cambia a sentirsi chiamare con un appellativo politicamente
corretto, cosa ci guadagnano? Niente! La magrissima consolazione di sentirsi
considerati nella società. Qualche handicappato, per esempio, vuole sentirsi
chiamare diversamente abile. Bhè una bella consolazione per un handicappato. Avrò
una vita tempestata di dispiaceri e difficoltà però accidenti voglio essere
chiamato diversamente abile.
Non c’è niente di sconvolgente in quello che sto
scrivendo e non voglio insultare nessuno, ci mancherebbe altro. Sto solo riconoscendo
dei fatti, che sono l’ipocrisia da parte dei “normali” nel cambiare i nomi alle
varie tipologie, e l’altrettanta ipocrisia di coloro che pretendono che si
usino certi termini, che si battono per i diritti di qualcuno e poi non riescono ad ammettere la situazione; di fondo c’è un enorme problema di accettazione di
una qualche situazione: si cerca di non cedere mai alla speranza che tutto diventi normale, persino quando ormai la
speranza non può più esserci. Ma nessuno va biasimato per questo.
Qualcuno potrà affermare che il linguaggio politically correct sia utile per non ricordare
ogni volta la problematica che rende “diversi” a coloro che lo sono. Infatti immagino
la gioia di un cieco che si sente chiamare “non-vedente” nel fatto che non gli
sia stato fatto presente che non può vedere. Purtroppo cambiando il nome la
situazione non cambia. Un nero se viene chiamato afro-americano non penso che
di colpo si impallidisca, ma non per questo lo vedrò diverso da me.
Vorrei concludere
con una frase che disse mio nonno quando avevo all’incirca 10 anni: “se uno è
negro, perché devo dire che è nero? Negro deriva dal latino e quindi secondo me
è anche più corretto.” In quel momento ricordo che pur essendo giovane risposi
a mio nonno che nero era più corretto da dirsi. Ripensandoci ora ad almeno 10
anni di distanza, penso che non avesse poi tutti i torti, per quanto continui
io a pensarla come 10 anni fa. Semplicemente la vedo in modo diverso. Se non si
sfocia nella volgarità e nell’insulto, cosa che veramente a quel punto sarebbe
disdicevole, poco conta come vengono chiamate le varie “categorie” (che poi è
anche brutto cercare sinonimi di divisioni sociali, ma per capirci bisogna pur
farlo), purché se ne riconoscano le limitazioni, le caratteristiche e le
potenzialità, se ne rispettino le usanze, e gli si dia la giusta importanza e
uguaglianza.
vedi law, credo che questo perbenismo verbale trovi radici nella volontà di alcune persone di non voler offendere mai nessuno...atteggiamento non sempre pagante poichè si riesce ad essere offensivi anche con il sorriso sulle labbra, ma ben vengano in alcuni casi raffinatezze verbali che possano in qualche modo rallentare lo tsunami della volgarità tra noi umani. Per quanto attiene al rispetto di ogni individualità, nera o bianca, abile o diversamente abile, è una questione di intelligenza e purtroppo non tutti ne sono dotati.
RispondiEliminanoi ci aspettiamo grandi cose da voi giovani.
a presto sul blog. elena ammannito