Da poco mi
sono reso conto di essere drogato. Ma non uno di quelli che si fa di cocaina,
metanfetamina, acidi o chissà che. Sono drogato di cose “belle”, che poi quando
sei in astinenza non sono poi così belle.
Sono drogato
di situazioni, di emozioni, di sensazioni.
Mi drogo di
alcune persone in modo così rapido e distruttivo che vado subito in
assuefazione, la mia mente chiede di più e di più e ancora di più, fino a
quando diventa un bisogno fisico, una mancanza, un bisogno impellente di
parlarci o starci insieme. E poi, da buon dipendente, è il momento di
disintossicarsi e poi della riabilitazione. Ma la dipendenza è un demone
paziente come il destino e che risorge come una fenice. E quindi il ciclo
continua.
Sono drogato
di alcune serie tv, sono drogato di sonno, sono drogato di pallacanestro ma
ogni tanto mi faccio anche di qualche altro sport. E di cibo.
Sono drogato
di viaggi, anche se non mi faccio una dose da anni.
Sono da
sempre drogato di amore. Ed è per questo motivo che sbaglio tante tante cose e
tante tante volte. Perché c’è sempre quella pulce nel mio orecchio e chissà se
se ne andrà mai; esattamente come il ricordo di un cibo che mangiavate solo
quando eravate tanto piccoli ma che vi piaceva da morire: potreste sentire quel
sapore in bocca, adesso, se ne aveste voglia. E così nella mia testa c’è sempre quella lucina
intermittente, flebile di lucciola che mi ricorda come sono stato e mi spinge a
riprovare quelle sensazioni, a “farmi ancora”. Ma mi hanno spacciato solo amore
tagliato male.
Sono drogato
di tramonti, di albe, di nuvole, di passeggiate sulla spiaggia.
Sono drogato
di Roma, perché non si può non essere drogati anche di lei.
Lo ammetto,
sono anche drogato di sesso, ma chi non lo è?!
E di libri. Credevo
di essermi disintossicato, e invece eccomi qui, a sedermi sulla scalinata di
trinità dei monti a leggere, a chiedere un caffè ed un muffin alla barista
della Feltrinelli perché sticazzi mi fermo un’ora in questa caffetteria ed
inizio il libro che ho appena comprato di sotto; e pure un succo di frutta che
sto muffin m’è rimasto un po’ in gola, grazie. A bramare un mezzo di trasporto
su cui sedermi per leggere, a sperare egoisticamente che sia in ritardo per
poter leggere di più. Contare le pagine che mancano alla fine del capitolo, e
del prossimo, e di quello dopo ancora, e del libro per vedere se riesco a
finirlo prima di arrivare a casa. A saltare i paragrafi per sapere cosa succede
dopo, con occhi golosi, vogliosi, di chi vede una ragazza che si spoglia alla
finestra del palazzo di fronte e se ne va sul più bello; di chi ha bisogno di
iniettarsi qualcosa nella corteccia cerebrale. A scusarmi con il libro per non
essermelo gustato fino in fondo, spinto da questa maniacale voglia di andare
oltre, di volerne ancora e ancora e ancora. Ad innamorarmi dei personaggi, a
condividere le loro esperienze, a sentire le loro emozioni, a piangere quando
muoiono e piangere quando si innamorano. Ad essere arrabbiati con l’autore
quando finisce il libro perché ha ucciso uno di loro, per non aver inserito
altre 300 pagine che te ne avrebbero fatte chiedere altre 400, a mandarlo
affanculo perché ti ha fatto innamorare di una persona che esiste solo su carta
e che tu invece andrai a cercare in giro per mesi, sperando che qualcuno almeno
un po’ ci assomigli.
Che dite, valgono come droghe?
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