sabato 13 aprile 2013

Le cronache del Gallo e del Mamba

Ancora una volta mi metto a scrivere qualcosa con le lacrime agli occhi. Stavolta più di altre, stavolta di giorno per qualcosa accaduto lontano, di notte, e non di notte per qualcosa accaduto vicino, di giorno. Non ci si può fare nulla, perché quando la sfortuna, o chiamiamolo fato o destino, ha deciso qualcosa, non si può fare altro che attenercisi. Mi ritrovo a parlare di sport oggi, della parte peggiore dello sport, o meglio, del praticare uno sport.

Grandi atleti (anche strapagati, ma questa è un’altra storia, nda) che lavorano duramente per vivere il loro sogno, quello di diventare campioni di una lega, di una nazione, di un continente, di un’Olimpiade. Qualsiasi sia lo scopo i veri campioni ci mettono anima e corpo per raggiungerlo. Insegui un sogno ed il minuto successivo esso è svanito.
Per questo oggi sono qui a scrivere di due personaggi completamente diversi, protagonisti di uno stesso sport, e che sono in qualche modo collegati: Danilo e Kobe.
Il primo giovane, ITALIANO e uomo franchigia di una squadra giovane, esplosiva, indomabile. Una SQUADRA nel vero senso della parola. Un ragazzo di 24 anni che dopo la sua migliore stagione, a poche partite dai Playoffs che (molto probabilmente) vedranno la sua squadra tra le protagoniste, si è lesionato un crociato, costringendolo a finire molto prima del previsto la sua ottima stagione. Dopo tutta una regoular season da protagonista, si vede negati in un colpo solo i Playoffs e l’europeo con la maglia della nazionale.
E poi c’è Kobe. Cosa dire che non sia già stato detto di un uomo che col suo solo nome identifica un intero sport. Al pari di Roger, Tiger, Diego Armando, Schumi e Michael (come dimenticarsi di Michael). Un campione vero, un uomo che mai si è tirato indietro di fronte alle difficoltà, un giocatore che ha segnato i suoi migliori canestri con una caviglia malandata ed un dito rotto; una persona che ha deciso che la sua squadra sarebbe rientrata nella griglia Playoff nonostante una stagione disastrosa, e pertanto se l’è caricata sulle spalle e ha cominciato a traghettarla verso il suo obbiettivo. Perché è questo ciò che fanno i veri fuoriclasse, i veri alieni: prendono per mano la squadra nei momenti più difficili, alzano l’asticella e la portano dove vogliono loro, facendo capire chi è che comanda. Il tutto a 34 anni.
Ahimè anche loro sono umani. E stanotte, anzi stamattina, ho dovuto guardare  un campione piangere mentre veniva intervistato dai giornalisti a fine partita per la possibile chimera che gli si è presentata davanti. Ho visto un uomo ed il suo sogno distrutti nello stesso momento. Ho rivisto, millenni dopo, Achille cadere ancora colpito nel suo unico punto debole.
Così stamattina, appena letta la notizia non sono riuscito a trattenere le lacrime; e non vi nascondo che anche adesso mi rimane difficile farlo. Chiamatemi sciocco per prendere a cuore queste cose, per provare emozioni del genere per “uomini che corrono dietro un pallone”. Non mi interessa. Sono una persona che ama lo sport in tutte le sue forme più pure, e sono pronto a dire, una settimana dopo il Derby, che penserei la stessa cosa se succedesse qualcosa del genere a Totti, per esempio; magari non piangerei, ma di certo sarei molto dispiaciuto. 
Un dramma sportivo che colpisce forse il più grande giocatore di pallacanestro dell'ultima generazione: la possibilità di finire la sua immensa carriera, ieri notte. 

"If you see me in a fight with a bear, prey for the bear". Ive always loved that quote. Thats "mamba mentality"

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