Ancora una volta mi metto a scrivere qualcosa con le
lacrime agli occhi. Stavolta più di altre, stavolta di giorno per qualcosa
accaduto lontano, di notte, e non di notte per qualcosa accaduto vicino, di
giorno. Non ci si può fare nulla, perché quando la sfortuna, o chiamiamolo fato
o destino, ha deciso qualcosa, non si può fare altro che attenercisi. Mi ritrovo
a parlare di sport oggi, della parte peggiore dello sport, o meglio, del
praticare uno sport.
Grandi atleti (anche strapagati, ma questa è un’altra
storia, nda) che lavorano duramente
per vivere il loro sogno, quello di diventare campioni di una lega, di una
nazione, di un continente, di un’Olimpiade. Qualsiasi sia lo scopo i veri
campioni ci mettono anima e corpo per raggiungerlo. Insegui un sogno ed il
minuto successivo esso è svanito.
Per questo oggi sono qui a scrivere di due
personaggi completamente diversi, protagonisti di uno stesso sport, e che sono
in qualche modo collegati: Danilo e Kobe.
Il primo giovane, ITALIANO e uomo franchigia di una
squadra giovane, esplosiva, indomabile. Una SQUADRA nel vero senso della
parola. Un ragazzo di 24 anni che dopo la sua migliore stagione, a poche
partite dai Playoffs che (molto probabilmente) vedranno la sua squadra tra le
protagoniste, si è lesionato un crociato, costringendolo a finire molto prima
del previsto la sua ottima stagione. Dopo tutta una regoular season da
protagonista, si vede negati in un colpo solo i Playoffs e l’europeo con la
maglia della nazionale.
E poi c’è Kobe. Cosa dire che non sia già stato
detto di un uomo che col suo solo nome identifica un intero sport. Al pari di
Roger, Tiger, Diego Armando, Schumi e Michael (come dimenticarsi di Michael). Un
campione vero, un uomo che mai si è tirato indietro di fronte alle difficoltà,
un giocatore che ha segnato i suoi migliori canestri con una caviglia malandata
ed un dito rotto; una persona che ha deciso che la sua squadra sarebbe
rientrata nella griglia Playoff nonostante una stagione disastrosa, e pertanto
se l’è caricata sulle spalle e ha cominciato a traghettarla verso il suo obbiettivo.
Perché è questo ciò che fanno i veri fuoriclasse, i veri alieni: prendono per
mano la squadra nei momenti più difficili, alzano l’asticella e la portano dove
vogliono loro, facendo capire chi è che comanda. Il tutto a 34 anni.
Ahimè anche loro sono umani. E stanotte, anzi
stamattina, ho dovuto guardare un
campione piangere mentre veniva intervistato dai giornalisti a fine partita per
la possibile chimera che gli si è presentata davanti. Ho visto un uomo ed il
suo sogno distrutti nello stesso momento. Ho rivisto, millenni dopo, Achille
cadere ancora colpito nel suo unico punto debole.
Così stamattina, appena letta la notizia non sono
riuscito a trattenere le lacrime; e non vi nascondo che anche adesso mi rimane
difficile farlo. Chiamatemi sciocco per prendere a cuore queste cose, per
provare emozioni del genere per “uomini che corrono dietro un pallone”. Non mi
interessa. Sono una persona che ama lo sport in tutte le sue forme più pure, e
sono pronto a dire, una settimana dopo il Derby, che penserei la stessa cosa se
succedesse qualcosa del genere a Totti, per esempio; magari non piangerei, ma
di certo sarei molto dispiaciuto.
Un dramma sportivo che colpisce forse il più grande giocatore di pallacanestro dell'ultima generazione: la possibilità di finire la sua immensa carriera, ieri notte.
"If you see me in a fight with a bear, prey for
the bear". Ive always loved that quote. Thats "mamba mentality"
Nessun commento:
Posta un commento