lunedì 25 giugno 2012

Just call me “The Spoon”


Non so bene che ore fossero quando Italia e Inghilterra hanno cominciato ad affrontarsi ai rigori. So solo che al 5° rigore ero certo che avremmo vinto noi. Non perché sono un guru o chissà cosa dello sport, ma un po’ ormai lo capisco, e quando un giocatore fa una prodezza come quella di Pirlo, l’epilogo non può che essere uno: la sua squadra vince!
La squadra vince perché ha giocato meglio, la quadra vince perché lo merita, la squadra vince perché è più forte e la squadra vince perché un signore di nome Andrea Pirlo ha fatto notare agli avversari, e a circa mezzo miliardo di altre persone, tutte queste cose allo stesso momento.
Quando fai sport e devi affrontare degli avversari, non è facile relazionarsi con loro: possono essere tuoi amici, tuoi nemici, puoi vincere di tanto o perdere di tanto, o la partita può essere tirata, e infine potresti essere superiore oggettivamente ma non riuscire a spuntarla, o inferiore e vincere. Come trattare l’avversario in tutti questi scenari differenti? Non è facile per niente.
Il rispetto è la prima cosa. Detto questo tutto è secondario.
Ma allora Pirlo? Quella è una situazione differente. 120 minuti dominati, in cui non si è riuscito a segnare e la paura improvvisa che non tutto quello che è stato fatto fino a quel momento sia aria fritta. E  dopo aver visto Montolivo sbagliare e Rooney fare gol, Pirlo avrà pensato: “Ok tocca a me! Gli altri si fidano della mia esperienza e sono sicuri che farò gol. Ma se segno normalmente, qui la partita non si sblocca e ce ne torniamo a casa col primo aereo, dopo aver giocato la nostra migliore partita del torneo, e questo mi farebbe girare parecchio i benemeriti. Ci vuole qualcosa che faccia capire ai miei compagni che siamo più forti e ai miei avversari che meritano di perdere. Qualcosa che gli dica che abbiamo dominato, che gli faccia capire che noi dobbiamo andare avanti e loro tornare a casa. L’idea giusta è il cucchiaio. L’ho fatto altre volte e non penso che Francesco si arrabbierà se glielo rubo stavolta (per un laziale costa scrivere questa cosa). Sì devo farlo. Se sbaglio verrò deriso e in Italia verrò ricordato per “quel rigore con l’Inghilterra nel 2012”, ma in fin dei conti perderemmo lo stesso se non lo faccio; ma se lo segno andiamo a rompere il culo a quei crucchi in semifinale un’altra volta(ok, questa era un po’ troppo colorita ma ci sta). Farò rosicare a tal punto quello dopo di me che tirerà di sola potenza per insegnarmi come si segna un rigore e, per questo, molto probabilmente sbaglierà. Mentre noi galvanizzati segneremo gli altri due e con un po’ di fortuna magari oggi è quel giorno ogni 2 anni in cui Gigi para un rigore. Devo farlo, contano tutti su di me.”
E così, dopo essersi preso una marea di vaffa, dopo 78 arresti cardiaci, dopo quel mezzo secondo che sembrava mezzo secolo, dopo che la palla finalmente è entrata in rete, Andrea “the Spoon” Pirlo ha avuto ragione! Un gesto sconsiderato, spropositato, superbo, sbeffeggiatore, sicuro, ma vincente! Ecco se l’atteggiamento è vincente, allora è quello giusto. Ha tirato il rigore in quel modo, ha fatto gol, si è girato e se ne è andato senza neanche esultare, come per dire “la cosa più facile del mondo, non ci vuole niente…”. Mentre spera che il messaggio sia arrivato al successivo tiratore, e che si sia un po’ innervosito per quello che ha fatto.
E puntualmente Ashley Young mentre si avvia sul dischetto, dice tra sé e sé “Brutto stronzo, ma che ci stai prendendo per il culo?! Adesso ti tiro un rigore così potente che gli spettatori dietro la porta si copriranno il volto per paura che il pallone possa arrivargli in faccia! (ovviamente questo in inglese, immagino)” sì certo, bravo! Sei cascato nel trappolone con tutti gli scarpini.
Poi da lì è tutto in discesa. Grazie Mr Spoon!

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