Premessa:
Per questo post faccio riferimento a circostanze
reali (ed adattate) che si possono ricreare durante un viaggio in autobus. È capitato
a me ma sono avvenimenti verosimilmente quotidiani. Capita a chi accompagna la
noia di un viaggio in omnibus con un libro. Può essere buono o una schifezza,
una prima edizione o un classico, un romanzo o un libro di testo: se ti trovi
vicino ad un qualche folkloristico passeggero, il mattatore del posto accanto,
l’oratore di tutte le tratte, rimane sempre difficile riuscire a concentrarsi
nella lettura.
Prologo:
Per la riuscita di questo articolo era necessario
citare “La Certosa di Parma” di Stendhal, poiché è il libro che stavo leggendo.
E gli chiedo umilmente scusa per averlo utilizzato per così bassi scopi. Vi prego
inoltre di non scandalizzarvi per alcuni termini che andrò ad utilizzare.
Buona lettura!
Buona lettura!
Dialogo
tra l’egregio sig. Stendhal e due eccezionali viaggiatrici
“Per la
contessa, rivedere Fabrizio al suo ritorno dalla Francia era stato come
incontrare un bel giovane straniero conosciuto molto bene in passato:
-
Aho, ‘ndo si ‘nziccherata?
-
E dellì, ‘nme si vista?
…
Poco
dopo la partenza di Fabrizio per la Francia, la contessa, senza confessarselo
esplicitamente, aveva cominciato a pensare troppo a lui. “Mo che scegno je do ‘mbacio;
ma per lui sono una donna rispettabile… anzi se devo essere sincera fino in
fondo senza badare all’amor proprio, una donna anziana!” Si faceva delle
allusioni sull’età a cui era arrivata. “Finché c’o dimo noi che semo munelle
vabbè, ma quanno che c’ha ditto isso, essa s’ha magnat’e ricacato”.
In
questo stato d’animo fece un viaggio a Milano […]. Senza volerlo ammettere,
questa donna tanto attiva cominciava ad essere stanca della monotona vita di
campagna: “Sbiffa dellà” si diceva “guarda ti chisso si me deve fa ‘ncazzà!”.
…
Da
qualche tempo anche l’intimità con la madre di Fabrizio, più anziana di lei e
senza fiducia nell’avvenire, cominciava a diventare meno piacevole:
-
Nun me va de ‘nnà a scola…
-
guarda te si me bocceno.
Aveva
perso ogni speranza nel futuro. […]Poi tornava a casa e improvvisava al
pianoforte fino alle 3 di notte:
-
Ieri so iata alletto a e tre!
-
E a c’ora te si ‘rzata?
-
A e sei e n’atro po’ perdo l’auto… me drogo ‘o so! [e
anche pesantemente, NdA]
…
Siccome
in Italia non si ha molta paura di urtare la vanità altrui, si fa presto ad
arrivare al tema intimo, a dire cose molto personali […
]:
-
Ma perché, Conte, si mette la cipria?
-
Lascia stà che ssamatina me parevo ‘nmostro. Me deo truccà pe forza sinnò l’antri
se moreno de paiura. [la mia prima preoccupazione non sarebbe
l’aspetto fisico, NdA]
In
quel turbamento universale, la contessa fece domande:
-
Ma che doemo scegne’ mo?
-
Manco po-o ca**o! Scegnemo a Mazzini!
-
Che interesse può avere sua altezza verso i miei atteggiamenti, dal momento che
so trattare così bene i suoi affari?
-
Dicce che se fa li ca**i sua sinnò j’ammollo na cinquina ‘nfronte che j’a
faccio vedè io a isso!
Da
quel fatale momento, la vita del principe è completamente cambiata; è sempre
tormentato dai più stravaganti sospetti.”
[passi
tratti da “La Certosa di Parma”, pagg da 98 a 102]
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