mercoledì 16 maggio 2012

Dialogo tra l’egregio sig. Stendhal e due eccezionali viaggiatrici.


Premessa:
Per questo post faccio riferimento a circostanze reali (ed adattate) che si possono ricreare durante un viaggio in autobus. È capitato a me ma sono avvenimenti verosimilmente quotidiani. Capita a chi accompagna la noia di un viaggio in omnibus con un libro. Può essere buono o una schifezza, una prima edizione o un classico, un romanzo o un libro di testo: se ti trovi vicino ad un qualche folkloristico passeggero, il mattatore del posto accanto, l’oratore di tutte le tratte, rimane sempre difficile riuscire a concentrarsi nella lettura.
Prologo:
Per la riuscita di questo articolo era necessario citare “La Certosa di Parma” di Stendhal, poiché è il libro che stavo leggendo. E gli chiedo umilmente scusa per averlo utilizzato per così bassi scopi. Vi prego inoltre di non scandalizzarvi per alcuni termini che andrò ad utilizzare.
Buona lettura!

Dialogo tra l’egregio sig. Stendhal e due eccezionali viaggiatrici

Per la contessa, rivedere Fabrizio al suo ritorno dalla Francia era stato come incontrare un bel giovane straniero conosciuto molto bene in passato:
- Aho, ‘ndo si ‘nziccherata?
- E dellì, ‘nme si vista?
Poco dopo la partenza di Fabrizio per la Francia, la contessa, senza confessarselo esplicitamente, aveva cominciato a pensare troppo a lui. “Mo che scegno je do ‘mbacio; ma per lui sono una donna rispettabile… anzi se devo essere sincera fino in fondo senza badare all’amor proprio, una donna anziana!” Si faceva delle allusioni sull’età a cui era arrivata. “Finché c’o dimo noi che semo munelle vabbè, ma quanno che c’ha ditto isso, essa s’ha magnat’e ricacato”.
In questo stato d’animo fece un viaggio a Milano […]. Senza volerlo ammettere, questa donna tanto attiva cominciava ad essere stanca della monotona vita di campagna: “Sbiffa dellà” si diceva “guarda ti chisso si me deve fa ‘ncazzà!”.
Da qualche tempo anche l’intimità con la madre di Fabrizio, più anziana di lei e senza fiducia nell’avvenire, cominciava a diventare meno piacevole:
- Nun me va de ‘nnà a scola…
- guarda te si me bocceno.
Aveva perso ogni speranza nel futuro. […]Poi tornava a casa e improvvisava al pianoforte fino alle 3 di notte:
- Ieri so iata alletto a e tre!
- E a c’ora te si ‘rzata?
- A e sei e n’atro po’ perdo l’auto… me drogo ‘o so! [e anche pesantemente, NdA]
Siccome in Italia non si ha molta paura di urtare la vanità altrui, si fa presto ad arrivare al tema intimo, a dire cose molto personali […
 ]:
- Ma perché, Conte, si mette la cipria?
- Lascia stà che ssamatina me parevo ‘nmostro. Me deo truccà pe forza sinnò l’antri se moreno de paiura. [la mia prima preoccupazione non sarebbe l’aspetto fisico, NdA]
In quel turbamento universale, la contessa fece domande:
- Ma che doemo scegne’ mo?
- Manco po-o ca**o! Scegnemo a Mazzini!
- Che interesse può avere sua altezza verso i miei atteggiamenti, dal momento che so trattare così bene i suoi affari?
- Dicce che se fa li ca**i sua sinnò j’ammollo na cinquina ‘nfronte che j’a faccio vedè io a isso!
Da quel fatale momento, la vita del principe è completamente cambiata; è sempre tormentato dai più stravaganti sospetti.”
[passi tratti da “La Certosa di Parma”, pagg da 98 a 102]

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